Giovanni Tassani ha studiato a fondo i percorsi che hanno intrecciato cattolici e comunisti in Italia. È del ’78: Alle origini del compromesso storico. I cattolici comunisti negli anni Cinquanta, Edb, Bologna. Nell’86 ha contribuito alla pubblicazione di due libri di Franco Rodano: Lezioni di storia “possibile”, Marietti, Genova, e: Lettere dalla Valnerina, La Locusta, Vicenza. In: La terza generazione. Da Dossetti a De Gasperi, tra Stato e rivoluzione, Edizioni Lavoro, Roma 1988, ha esaminato gli influssi di Felice Balbo e di Franco Rodano sui giovani Dc negli anni Cinquanta. È del ’90 il suo saggio: I compiti della teoria e il “partito nuovo”. Il rigore laico di Felice Balbo, in: “Quaderni del Centro Studi C. Trabucco”, n. 15, Torino.

Come si può situare l’esperienza di “Cultura e realtà”?
“Cultura e realtà” è una rivista che esce tra il ’50 e il ’51, e rappresenta il frutto maturo di un’esigenza comune a un gruppo di personalità in parte già giovani resistenti e appartenenti alla Sinistra cristiana che avevano aderito al Pci e che, grazie alla personalità attrattiva di Felice Balbo, uomo chiave della Einaudi, dal ’41 a Torino, poi a Roma e di nuovo a Torino dal ’46, e alla sua sodale amicizia con Cesare Pavese, decisero di sperimentare una voce culturalmente innovativa, a sinistra, ma con autonomia di ricerca intellettuale. Esperimento non facile, vista la fine de “Il Politecnico” di Vittorini qualche anno prima. Caso meno noto, le vicende di “Cultura e realtà” ripercorrono per molti aspetti quelle de “Il Politecnico”, ove Balbo aveva scritto saggi significativi.
“Cultura e realtà” vorrà rappresentare il frutto di una tensione che, insieme con Balbo, fu quella esistenziale, morale, di Cesare Pavese. Ci sono due protagonisti della rivista e questi sono appunto Balbo e Pavese. Al terzo numero la rivista chiuse, dopo aver commemorato Pavese: la sua morte non consentì, insieme ad altre cause, soprattutto l’ostilità del Pci, una sua prosecuzione in termini di libertà intellettuale.
Una storia fatta dunque di amicizie giovanili nate nella Resistenza e di una volontà militante di rinnovamento.
Sia a Torino da cui veniva, lui pronipote di Cesare Balbo, sia a Roma, Felice Balbo aveva gruppi di amici e, a Roma in particolare, c’erano gli ex compagni della Sinistra cristiana con cui aveva fatto una parte della sua Resistenza, tra cui Franco Rodano.
Una storia, precedente, e poi parallela a questa della rivista, è proprio quella della crescente crisi, di sopravvivenza e sopportazione, all’interno del Partito comunista da parte di un gruppo ex Sinistra cristiana. Di questo gruppo, concentrato soprattutto a Roma, Torino e Milano, Felice Balbo, filosofo puro, era stato, dai tempi della Resistenza, il teorico, mentre Franco Rodano ne rappresentava la guida politica. Il Partito della Sinistra cristiana, a Roma già Movimento dei cattolici comunisti, si era sciolto e gran parte dei suoi componenti era entrato nel Pci al suo V congresso, tra fine ’45 e inizio ’46, sulla base dell’entusiasmo post-resistenziale per un “partito nuovo”, non ideologico, e una “democrazia progressiva”, da costruire con gli altri, “nuovi”, partiti democratici.
Aldilà della comune prassi marxista, il Pci accettava, nel suo nuovo statuto, iscritti di ogni idea e fede. Certo ciò fu preparato da anni di lotta clandestina comune e poi da Togliatti, e da uomini come Paolo Bufalini, comunista di solida base crociana, latinista, che era stato il professore di lettere e filosofia di diversi di loro, e del gruppo dei giovani comunisti romani al Liceo Visconti. Fu il preside Carlo Piersanti, antifascista e cattolico, a chiamare il giovane laureato Paolo Bufalini al Liceo e lui si dimostrò un insegnante eccezionale: l’avvicinamento al comunismo anche di questi giovani cattolici avvenne grazie a lui. Franco Rodano era allora, fine anni Trenta, il responsabile della Congregazione Prima Primaria, fondata a Roma dallo stesso Sant’Ignazio di Lojola. Quindi una piena ortodossia cattolica, sempre rivendicata, da Rodano come da Balbo, che aveva avuto un itinerario un po' diverso: si era “ritrovato” al contempo cattolico e comunista al risveglio da una malattia contagiosa contratta in Albania.
Speranze che andarono a restringersi con l’avvento della “cortina di ferro” e la rigida contrapposizione tra campi avversi.
Nel dopoguerra prevalse tra le nuove leve comuniste, e ancor più in quelle di formazione cattolica, un discorso legato ingenuamente a ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!